Il
cane alla catena: una tortura psicologica.
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Viviamo nell’era del computer, di internet e
delle comunicazioni satellitari. Viviamo in una società che ci
vantiamo di definire civile. Eppure risulta essere un’abitudine
ancora purtroppo diffusa quella di legare il cane alla catena.
Una credenza popolare vuole che in questo modo diventi
un guardiano migliore, capace di scoraggiare qualsiasi
malintenzionato. Non è vero. Si tratta invece di una crudeltà
ingiustificata, una vera e propria tortura psicologica, capace di
provocare danni irreparabili nel carattere dell’animale.
Se legato, il cane non migliora la sua capacità di
fare la guardia ma al contrario può diventare pericoloso, non solo
per gli estranei ma anche per il padrone stesso. Viene completamente
alterato il suo equilibrio e il suo senso della proprietà per cui,
incapace di riconoscere l’amico del nemico, pensa solo a difendere
il poco spazio che ha a disposizione, a volte con una esagerata
aggressività.
La catena riduce infatti la cosiddetta “distanza
critica”, uno spazio vitale superato il quale il cane si sente
talmente minacciato da attaccare senza esitazione. Ecco la ragione
di alcuni tragici incidenti. Il cane azzanna il padrone e questo si
dimostra allibito di fronte al tradimento del proprio animale. In
questi casi l’opinione pubblica punta spesso il dito contro il
cane, bollandolo con termini tipo “assassino” e “traditore”.
Ma la responsabilità non è del cane. Come scrive Desmond Morris,
il grande etologo inglese, “Non esistono cani cattivi. Solo
cattivi padroni.”
E’ difficile comprendere le torture che un cane
subisce quando viene legato. Vive in uno stato di perenne
abbattimento, frustrazione e mortificazione. Gli è impossibile, per
esempio, soddisfare le esigenze del suo olfatto sviluppatissimo. Al
posto del naso il cane ha un vero computer: il suo olfatto è un
milione di volte più sviluppato del nostro. E’ in grado di capire
addirittura l’umore delle persone dal cambiamento del loro odore.
Quando poi un estraneo arriva in casa, il cane si precipita ad
annusarlo, in modo da “schedarlo”, come se avesse letto il suo
biglietto da visita. Gli odori rappresentano un mondo intero, a noi
inaccessibile. Cercare e trovare nuovi odori, è per il cane come
per una persona leggere un buon libro: lo arricchisce, stimola la
sua intelligenza e la sua capacità di apprendere. Ma legato alla
catena tutto questo gli viene negato. Gli odori che si trovano nello
spazio a sua disposizione con il tempo diventano talmente familiari
da perdere qualsiasi interesse. A pochi metri di distanza ce ne sono
di sconosciuti e stimolanti ma è impossibile raggiungerli. Privato
così della parte più importante del suo modo di essere, il cane
diventa vittima della noia. Ogni diversivo si trasforma in un
impellente bisogno. Il cane attende con ansia il momento del pasto,
spesso l’unica occasione che ha di vedere il padrone. Mangiare
diventa la sua occupazione. Ingrassa e non può smaltire le calorie
in eccesso perché non può fare del moto. Spesso si ammala.
C’è anche un’altra cosa da tenere presente.
Nessun cane sporca nei pressi dello spazio dove mangia e dorme. E’
un comportamento innato, che il cane impara a seguire fin da
cucciolo senza alcun insegnamento. Un cane a catena è invece
costretto a sporcare nelle vicinanze della cuccia, andando quindi
contro la sua stessa natura.
Ma la più grande sofferenza è la mancanza di
socialità che il restare alla catena comporta. Per il cane non
esiste niente di peggiore. Jeffrey Masson, psicologo e autore di
splendidi libri sugli animali, definisce la solitudine “la grande
paura del cane”. E’ un animale altamente sociale, che si
realizza pienamente solo quando è parte di un gruppo. Per un cane
il contatto fisico è vitale. Per lui partecipare alle attività del
suo gruppo è come l’aria per respirare. Ma legato alla catena, è
escluso, messo da parte. Vede e sente gli altri membri del suo
branco, la sua famiglia umana, interagire tra di loro ma lui è
immobilizzato lontano. Il suo mondo è completamente distrutto.
Parlo spesso con gente che di abitudine lega il cane.
Mi dicono che quel povero animale è il loro più caro amico. Che lo
tengono legato perché altrimenti “fa danni in giardino” ma che
gli vogliono bene. Affermazioni che fanno cascare le braccia. Ma lo
sguardo adorante del cane sembra dar loro ragione.
Diceva bene il premio Nobel Konrad Lorenz quando
scrisse: “Il semplice fatto che il mio cane mi ami più di quanto
io ami lui è una realtà innegabile, che mi colma sempre di una
certa vergogna.”
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